People retention: l’importanza di costruire e nutrire legami comunitari in azienda. Il secondo incontro del progetto Flow di Assolombarda
Aziende e organizzazioni faticano sempre di più a trattenere persone e competenze di cui hanno bisogno. Quali sono le strategie efficaci in tema di retention? Gli insight dal secondo incontro di Flow, iniziativa di Assolombarda in collaborazione con Logotel.
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Ottobre 2024
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In Italia quasi una persona su due ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi o ha intenzione di farlo. Spenta l’eco della Great Resignation legata al periodo pandemico, questo dato fornito dall’Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano mostra come la retention, cioè la capacità da parte delle aziende di trattenere le proprie persone, sia ancora uno dei principali fattori di criticità per le organizzazioni.
Sono tanti gli aspetti da considerare quando si parla di retention. Il punto di partenza è capire cosa spinge le persone, nel contesto lavorativo attuale, a rimanere in un’azienda o, al contrario, ad andarsene. Ha a che vedere con l’evoluzione nei bisogni e nelle sensibilità con cui ognuno progetta il presente e il futuro.
È poi fondamentale per le imprese capire quali sono le strategie che possono attuare o che altre aziende stanno già attuando per creare organizzazioni dotate di magnetismo positivo, quello che attrae e trattiene sulla base di scelte e progettualità ben mirate e messe a sistema. In questo senso il confronto è prezioso, perché permette di condividere le best practice e anche di far emergere le barriere e le sfide da superare in tema di retention.
Proprio il confronto in presenza è il valore aggiunto di Flow – Future lab on work, iniziativa di Assolombarda che è un tassello di Circular HR, un progetto strategico che intende supportare le aziende associate sui temi legati alle sfide di People & Culture.
Dopo un primo incontro incentrato sui temi dell’attraction, la seconda tappa di questo percorso ha visto leader e manager di circa 40 imprese associate ad Assolombarda confrontarsi sul tema della people retention negli spazi di Logotel, Independent design company che ha co-progettato il percorso Flow.
Retention: chi e cosa si vuole trattenere?
Cos’è la retention? Anche se sembra scontato iniziare da una definizione, riflettere su chi e cosa si vuole trattenere all’interno della propria azienda aiuta a definire il perimetro entro cui intervenire.
L’employee retention, secondo la multinazionale delle risorse umane Randstad, è la capacità di un’organizzazione di trattenere e fidelizzare i propri dipendenti all’interno dell’azienda. Ma la stessa multinazionale suggerisce come alternativa alla employee retention il termine talent retention e ciò pone una prima domanda alle imprese: cosa si vuole mantenere al proprio interno? Tutte le persone, o solo i talenti? O ci si vuole focalizzare invece sulle competenze?
Per noi la parola talento va rifondata o quantomeno ogni impresa deve essere capace di definirla sulla base di una formula originale e distintiva. Quali competenze sono critiche? Chi le ha, chi le può maturare? Chi le abilita negli altri? Quale mix fra fattori?
Altre definizioni di retention si concentrano invece sul processo e le strategie che le aziende utilizzano per trattenere, valorizzare, fidelizzare i dipendenti. Sono sfumature diverse che rimandano però a un punto comune: la strategia di retention va progettata da ogni impresa in base alla sua cultura e identità e a seconda dei target. In un’epoca di singolarizzazione delle aspettative occorre quantomeno costruire un’offerta di servizi che parta dai bisogni di tipologie differenti di tribù e sub-community.
La retention oggi: alcuni dati
Il concetto di retention è strettamente legato a quello di turnover. In generale, più le strategie di retention funzioneranno, più bassi saranno i tassi di turnover. Alcuni dati sembrano suggerire che strategie di retention non siano particolarmente efficaci in un contesto così turbolento e dinamico come quello attuale.
Il già citato Osservatorio del PoliMi rivela che la percentuale di under 27 intenzionata a cambiare lavoro negli ultimi 12 mesi, o che lo ha già fatto, raggiunge addirittura il 77%.
Ma anche altri report mostrano che il clima prevalente che si respira sul lavoro è di insoddisfazione. Secondo lo State of the Global Workplace di Gallup, che misura annualmente l’engagement dei dipendenti a livello mondiale, in Italia appena l’8% delle persone intervistate si dichiara ingaggiata. Un dato che coincide quasi perfettamente con la percentuale di lavoratori che si dichiara felice sul posto di lavoro: il 7%, secondo l’Osservatorio Hr Innovation Practice del Polimi.
L’insoddisfazione lavorativa non porta necessariamente al turnover. Chi non si sente valorizzato dall’azienda o dai propri manager o non sente senso di appartenenza alla propria impresa potrebbe essere portato a “spegnersi” gradualmente, facendo il minimo indispensabile. È il fenomeno del quiet quitting che in Italia, secondo l’Osservatorio del Politecnico, riguarda il 12% dei lavoratori.
Di fronte a questi dati, si potrebbe quasi essere tentati di desistere da qualsivoglia strategia di retention e subire lo “spirito dei tempi”. Ma il prezzo da pagare se ci si arrende a un turnover elevato è alto: secondo un sondaggio di Gallup, i costi associati alla sostituzione di un collaboratore possono arrivare anche al doppio del suo stipendio annuale.
Si dovrà infatti innanzitutto ricercare un sostituto – e se ne intuisce la difficoltà in un momento in cui si parla di talent shortage –, poi assumerlo e formarlo, dandogli il tempo per apprendere e per inserirsi in una realtà per lui nuova.
Non è però solo una questione economica. Un turnover troppo elevato ha infatti ripercussioni dirette sulla capacità produttiva dell’azienda, ma può erodere anche il suo patrimonio di conoscenze, può demoralizzare i team che restano e può portare a una perdita di competitività dell’azienda rispetto a competitor in grado di trattenere personale qualificato.
Anche se è difficile, dunque, rinunciare a una strategia di retention da parte di un’azienda sarebbe un errore gravissimo.
È certo un’utopia pensare di poter raggiungere una percentuale di turnover pari allo 0% – e non sarebbe neanche salutare –, ma obiettivo di ogni impresa competitiva dovrebbe essere arrivare a un tasso di turnover fisiologico e ideale, che secondo lo Human Capital Benchmarking Report della Society for Human Resource Management, per le organizzazioni nei settori non stagionali dovrebbe essere intorno al 10%.
Cosa trattiene le persone? Uno spaccato generazionale
Una strategia di retention non può prescindere dall’analizzare cosa cercano le persone sul luogo di lavoro. Motivazioni, bisogni e priorità cambiano però a seconda delle generazioni. E, dal momento che mai come in questo momento storico così tante generazioni sono compresenti nelle organizzazioni, è fondamentale condurre questa analisi in una prospettiva generazionale.
È quanto ha fatto Valore D, associazione di imprese che aiuta le organizzazioni a promuovere l’inclusione come fattore competitivo per la crescita. Nella ricerca Oltre le generazioni: esperienze, relazioni, lavoro, i cui risultati sono stati condivisi tra i partecipanti al secondo incontro di Flow, l’associazione ha analizzato cosa cercano lavoratori delle differenti generazioni sul luogo di lavoro.
Alcuni bisogni, come ad esempio il desiderio di aggiornare le proprie competenze e impararne di nuove, variano a seconda dell’età: l’upskilling è ad esempio la principale priorità per la Gen Z, mentre è meno sentito da Baby boomers e Gen X. Altri bisogni sono però prioritari per tutte le generazioni: stabilità contrattuale, buona retribuzione e buone relazioni.
Per progettare una strategia di retention efficace bisogna costruire legami
Nel suo intervento ispirazionale prima della sessione dedicata ai tavoli di lavoro, il Ceo di Logotel Nicola Favini ha sottolineato l’esistenza di due diversi livelli: “Oltre al passaggio cruciale di mappare i bisogni reali all’interno dell’organizzazione, è necessario soprattutto saper distinguere tra variabili ‘igieniche’ – quei fattori di base necessari per evitare insoddisfazione – e variabili ‘differenzianti’, che creano un legame più profondo con le persone e rendono l’azienda un luogo in cui permanere”.
Non è più sufficiente per le organizzazioni puntare sul concetto di soddisfazione: “Oggi le aziende devono puntare alla costruzione di gratitudine, un sentimento che è alla base delle comunità aziendali più forti, e che nasce quando si risolvono problemi specifici e personali dei collaboratori, andando oltre le aspettative standard del parametro di soddisfazione”.
A proposito dell’importanza di intendere la propria organizzazione come una comunità, un modello che prende sempre più piede all’interno delle aziende è quello di cittadinanza organizzativa (Organizational citizenship behavior, OCB). Come ha sottolineato il Ceo di Logotel, si tratta dell’idea “di un senso di comunità aziendale in cui ciascun individuo si sente parte integrante e responsabile del benessere dell’organizzazione.
Questo approccio incoraggia la creazione di un ambiente in cui appartenenza e cura sono centrali, in quanto un collaboratore che sviluppa una cittadinanza organizzativa compie delle azioni e svolge dei compiti che vanno oltre quanto previsto dal suo contratto, a favore del benessere generale dell’azienda e dei collaboratori”.
Per Favini, aziende e organizzazioni che vogliono percepirsi ed essere percepite come comunità “devono investire sulle relazioni, che sono rilevanti per tutte le generazioni: costruire e nutrire legami comunitari è fondamentale in ottica di retention perché più legami ci sono in una rete, più le persone sviluppano senso di appartenenza e sono portate a restare”.
Gli insight del secondo incontro di Flow
Come era già avvenuto durante il primo incontro, anche dal secondo appuntamento di Flow sono emersi insight che, una volta che il percorso sarà ultimato, saranno sistematizzati in un field toolbox che diventerà strumento utile per orientarsi tra le sfide di un mercato del lavoro in profonda trasformazione.
Nei tavoli di lavoro, che rappresentano un momento centrale del percorso, manager e rappresentanti Hr delle aziende presenti, diverse per dimensioni e settori, hanno potuto condividere sfide, punti di vista, best practice, esperienze e strumenti per migliorare il benessere lavorativo e trattenere le persone all’interno delle imprese.
Le riflessioni si sono orientate su due direttrici:
da un lato, i partecipanti hanno condiviso una panoramica delle leve da attivare come strategie di retention, individuando i fattori di base necessari per evitare insoddisfazione e gli elementi differenzianti che creano un legame più profondo con le persone e rendono l’azienda un luogo in cui permanere;
dall’altro, il confronto nei tavoli di lavoro è servito ad approfondire i bisogni trasversali e specifici delle persone in diversi stadi della loro esperienza in azienda e le possibili azioni da intraprendere come risposta a queste esigenze.
Dal confronto è emerso come strumenti di lavoro adeguati, retribuzione equa e chiarezza di ruolo siano interpretati come elementi igienici da tutti i partecipanti. Sono l’ABC della retention, talmente essenziali da essere “dati per scontati”.
Altri elementi, invece, come la cura della persona, il senso di appartenenza e l’identità aziendale o il ruolo della leadership, sono stati interpretati diversamente dai manager delle aziende presenti, a conferma di come l’equilibrio tra elementi igienici e differenzianti debba essere ricercato in maniera specifica per ogni organizzazione.
Il ruolo della leadership
Gli insight emersi sulla leadership meritano un approfondimento.
Come ha rivelato una ricerca di Gallup, i manager hanno un importante peso specifico per quanto riguarda l’engagement dei propri team, influenzandoli per il 70%. Lo stile di leadership adottato ha dunque ripercussioni sui collaboratori anche per quanto riguarda la produttività, il wellbeing, l’attraction e la retention.
Su quest’ultimo punto leader e manager che hanno preso parte a Flow concordano: la chiarezza e trasparenza nella comunicazione, una gestione della delega chiara, la ricezione di feedback e l’allineamento valoriale dei manager a quello dell’azienda sono elementi igienici e imprescindibili per trattenere le persone.
A renderli elementi differenzianti sono una cultura manageriale di cura e uno stile di leadership manageriale ben definito, impersonificato da capi formati tramite coaching, mentoring, e circoli tra manager.
Riflessioni conclusive
La retention è una delle grandi sfide che aziende e organizzazioni devono affrontare in un mercato del lavoro in trasformazione.
Uno dei principali take away del secondo incontro di Flow è che serve progettare strategie mirate, capaci di adattarsi alle esigenze individuali e collettive, per garantire soluzioni efficaci e durature.
Per progettare il proprio magnetismo e aumentare l’ingaggio delle persone che vivono l’azienda, è essenziale che ogni impresa garantisca gli elementi igienici – la soglia minima – e implementi quelli differenzianti. Ed è altrettanto importante prestare attenzione a come rispondere ai bisogni trasversali e specifici delle persone, che possono evolvere in diversi momenti della loro esperienza lavorativa.