Quando si parla dell’impatto dell’intelligenza artificiale (AI) e dell’AI generativa sul mondo del lavoro, si fa a volte riferimento ad alcune previsioni fatte da alcuni autorevoli organismi sovranazionali concentrandosi spesso sui rischi che la diffusione sempre maggiore di queste nuove tecnologie potrà avere a livello lavorativo. In realtà, lungi dal “rubarci il lavoro”, l’intelligenza artificiale lo sta già cambiando e lo cambierà sempre di più in futuro.
Questa capacità trasformativa è strettamente legata al tema delle competenze. Quali skill servono e serviranno per padroneggiare meglio queste nuove tecnologie? Quali nuove competenze dovremo sviluppare e allenare per coglierne appieno le potenzialità? In questo articolo parleremo dunque dell’importanza del reskilling per affrontare la rivoluzione legata all’intelligenza artificiale, cercando di rispondere a queste domande.
L’impatto dell’AI sul mondo del lavoro
Nel 2019, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) aveva stimato che, entro 15-20 anni, le nuove tecnologie di automazione avrebbero potuto eliminare il 14% dei posti di lavoro e trasformare radicalmente il 32% delle professioni.
Un altro report molto citato e più recente, il Future of Jobs 2023 del World Economic Forum, stima che nei prossimi 5 anni si potrebbe assistere a una perdita netta di circa 14 milioni di posti di lavoro: 83 milioni svaniranno, ma ne verranno creati altri 69 milioni. Il report evidenzia anche che le professioni che cresceranno più rapidamente sono proprio quelle legate alla tecnologia, con in cima all’elenco gli specialisti di AI e Machine Learning.
Queste appena citate sono previsioni per il futuro. Ma altri dati, provenienti da uno studio del novembre 2023 dell’IDC (International Data Corporation) commissionato da Microsoft e condotto su un panel di oltre 2100 business leader nel campo dell’AI transformation, rivelano come il 71% delle aziende stia già utilizzando l’intelligenza artificiale al proprio interno.
La rivoluzione legata all’AI è dunque già in corso e per affrontare questa sfida, è fondamentale sviluppare competenze digitali e cognitive avanzate. Le aziende devono investire in programmi di reskilling su larga scala, promuovendo un ambiente di apprendimento continuo e dinamico.
Cosa si intende per reskilling
Prima di proseguire, soffermiamoci brevemente sulle skill e sui processi di potenziamento ad esse collegate, limitatamente ai due di cui si sente più spesso parlare: l’upskilling e il reskilling. L’upskilling è il processo che consente di migliorare le competenze e le conoscenze di cui una persona è già in possesso. Il reskilling è invece un percorso che – attraverso la formazione, l’aggiornamento e il lavoro sul campo – consente a una persona di acquisire competenze e conoscenze utili a svolgere una nuova mansione.
Trasformare le skill in comportamenti per non farne un vuoto catalogo di competenze
In una riflessione contenuta nel 13° numero di Weconomy – pubblicazione open-source dell’Independent design company Logotel – si sottolinea come “al contrario dei diamanti, le skill non durano per sempre. Se non vengono esercitate, si dimenticano. Per far sì che si mantengano vive nelle persone e per creare il terreno adatto per lo sviluppo di nuove competenze, c’è bisogno di coltivare l’attitudine, motivare, dare la possibilità di sperimentare e l’opportunità per mettere in pratica”.
In questa prospettiva, parlare di upskill, reskill o anche de-skill (perché abilità che non sono più utili possono/devono essere accantonate) non significa dunque solo andare a modificare – aggiungendo, togliendo o cambiando – una serie di competenze da un catalogo, ma accendere una serie di “attivatori” per trasformare le skill in comportamenti, cioè in ciò che facciamo ogni giorno e in cui ci mettiamo alla prova, relazionandoci con gli altri.
L’importanza del reskilling per affrontare la rivoluzione Gen AI
Questa riflessione sulle skill è datata 2019 e già allora si evidenziava come stilare un semplice elenco di competenze fosse una prospettiva limitante, di fronte alla rapidità con cui evolvono. Una rapidità che è aumentata ancora di più con i progressi tecnologici legati anche all’intelligenza artificiale, che hanno ulteriormente accelerato il “tempo di decadimento” delle skill: l’emivita media delle competenze è ora inferiore a cinque anni, e in alcuni settori tecnologici è addirittura di due anni e mezzo.
Secondo il già citato report Future of Jobs, i datori di lavoro stimano che il 44% delle competenze dei lavoratori sarà stravolto nei prossimi cinque anni. Questo dato evidenzia la crescente importanza da una lato delle competenze cognitive (potremmo definirle come i tratti più umani), come pensiero creativo e analitico, che servono per risolvere problemi complessi sul posto di lavoro, e dall’altro di quelle che vengono definite nel report attitudini socio-emotive: la curiosità e l’apprendimento continuo, la resilienza, la flessibilità e l’agilità, la motivazione e la consapevolezza di sé. Completano la top 10 delle competenze in crescita il pensiero sistemico, l’intelligenza artificiale e i big data, la gestione dei talenti, l’orientamento al servizio e l’assistenza ai clienti.
Il tema delle competenze è centrale anche quando si parla dei processi di adoption dell’intelligenza artificiale all’interno di organizzazioni e aziende. Lo rivela anche il report dell’IDC già citato, secondo cui per il 52% delle aziende la mancanza di dipendenti con competenze specifiche in ambito AI è la più grande barriera per implementare e scalare l’intelligenza artificiale.
Sono in prospettiva milioni i lavoratori che avranno bisogno di essere qualificati o riqualificati: una sfida sociale profondamente complessa, per affrontare la quale le aziende hanno un ruolo cruciale da svolgere. Come possono farlo?
Aziende e reskilling: cinque cambi di paradigma
Nell’articolo Reskilling in the Age of AI, apparso sull’Harvard Business Review, si suggerisce alle aziende di attuare cinque cambi di paradigma. Gli autori – membri di una collaborazione tra il Digital Data Design Institute del Digital Reskilling Lab di Harvard e l’Henderson Institute del Boston Consulting Group – li hanno ricavati dalle interviste ai leader di circa 40 organizzazioni di tutto il mondo che stanno investendo in programmi di reskilling su larga scala. Vediamo brevemente questi cinque shift necessari.
1. Il reskilling è un imperativo strategico
Molte aziende hanno iniziato a considerare il reskilling non solo una soluzione per affrontare i momenti di crisi e attutire il colpo dei licenziamenti, ma come un imperativo strategico. Iniziative di reskilling efficaci sono fondamentali per attraversare i cambiamenti che sono in corso nel mercato del lavoro, caratterizzato da una popolazione attiva sempre più anziana, dall’emergere di nuove professioni e dalla crescente necessità per i dipendenti di sviluppare competenze specifiche per l’azienda.
Il reskilling interpretato strategicamente consente alle aziende di acquisire un vantaggio competitivo sui competitor, sviluppando al proprio interno talenti che scarseggiano sul mercato del lavoro e colmando i gap di competenze.
2. Il reskilling è una responsabilità di ogni leader e manager
Per far sì che il reskilling abbia un peso strategico all’interno delle aziende, le iniziative di riqualificazione devono uscire dai tradizionali silos in cui sono inserite – in genere le funzioni HR o People – e devono essere sostenute da tutti i livelli della leadership aziendale, in maniera che i manager di tutte le aree comprendano di avere una responsabilità condivisa nell’attuazione di questi programmi.
3. Il reskilling è un’iniziativa di change management
Formare i dipendenti non basta: per progettare e attuare programmi di reskilling ambiziosi, le aziende devono creare un contesto organizzativo che favorisca il successo, garantendo il giusto mindset e i giusti comportamenti tra i dipendenti e i manager. Bisogna dunque considerare il reskilling come un’iniziativa di gestione del cambiamento (change management).
4. I dipendenti vogliono riqualificarsi, quando ha senso.
Il reskilling comporta un grande sforzo da parte dei dipendenti e convincerli a intraprendere dei programmi di riqualificazione è una delle più ardue sfide che molte organizzazioni affrontano. Alcuni dati del Boston Consulting group citati dall’articolo rivelano però che il 68% dei lavoratori è consapevole delle disruption che si verificheranno nel proprio settore ed è disposto a riqualificarsi per rimanere competitivo. La chiave del successo risiede allora nel trattare i lavoratori con rispetto e rendere chiari i vantaggi e il senso della loro partecipazione alle iniziative di reskilling.
5. Per un reskilling efficace serve un ecosistema
Affinché sia efficace e continuativo, per far fronte a un’era in rapida evoluzione come quella dell’AI, il reskilling deve essere inquadrato in un ecosistema più ampio delle singole aziende. Sono diversi gli attori che possono e devono avere un ruolo nei processi di riqualificazione:
- le istituzioni attraverso finanziamenti e politiche pubbliche;
- il mondo accademico attraverso percorsi di ricerca e formazione specifici
- le organizzazioni non governative o non-profit che possono fare da ponte tra le aziende e talenti che provengono da contesti svantaggiati;
- le altre aziende, con cui costruire coalizioni che si rivelano più efficaci delle singole imprese nei percorsi di reskilling.
L’importanza dell’AI nel reskilling
Nel rapporto tra reskilling e AI va infine tenuto conto anche delle potenzialità offerte dalle stesse nuove tecnologie per lo sviluppo di competenze specifiche, relative soprattutto all’alto livello di personalizzazione consentito dall’AI. Nel report già citato, l’IDC prevede che grazie allo sviluppo di competenze tecnologiche personalizzate per mezzo della GenAI e dell’automazione, le imprese potranno ottenere un aumento della produttività pari a 1.000 miliardi di dollari entro il 2026.
L’intelligenza artificiale generativa sarà infatti sempre più integrata negli strumenti formativi dei dipendenti, consentendo di creare contenuti personalizzati per i professionisti IT e gli altri dipendenti in base alle loro competenze attuali, alle lacune e e agli obiettivi di carriera. Un approccio personalizzato che garantisce che le persone ricevano la formazione più pertinente, ottimizzando i loro sforzi di upskilling e cross-skilling man mano che i ruoli lavorativi si evolvono, compresa la necessità di programmare autonomamente le applicazioni GenAI.
Conclusioni
Nell’era della rivoluzione generativa, l’intelligenza artificiale (AI) sta trasformando il mondo del lavoro a un ritmo senza precedenti. Il reskilling diventa quindi essenziale per le persone e per le imprese che desiderano rimanere competitive. Non si tratta però solo di considerare le competenze come voci di un catalogo da aggiungere, modificare o eliminare, ma di lavorare per trasformare mindset che facilitino lo sviluppo e l’allenamento quotidiano di queste skill nei comportamenti quotidiani.