L’employee engagement è un elemento chiave per aziende e organizzazioni in salute. Eppure, un recente report della società statunitense Gallup – che da decenni studia l’engagement nelle organizzazioni – evidenzia come i livelli di employee engagement siano bassi ovunque nel mondo, e in modo particolare in Italia.
Siamo in una fase in cui le persone non si sentono pienamente coinvolte in ciò che fanno, e questo ha ripercussioni sia sulla salute fisica e mentale delle persone – con un aumento delle emozioni negative provate anche al di fuori dell’ambito lavorativo –, sia in termini di performance per le imprese.
In questo articolo spieghiamo brevemente cos’è l’employee engagement, analizziamo i dati più recenti che fotografano lo stato dell’employee engagement a livello globale e in Italia e cerchiamo di capire cosa possono fare i manager per aumentare l’engagement delle persone che lavorano in aziende e organizzazioni.
Cos’è l’employee engagement: una definizione
L’employee engagement è un’espressione che non ha una precisa traduzione in italiano. Come corrispettivo nel nostro Paese si utilizza spesso il termine ingaggio che, sebbene non propriamente corretto a livello grammaticale, risulta immediatamente comprensibile dagli addetti ai lavori.
Nel suo libro Employee engagement (Edizioni LSWR), la psicologa Emma Bridger sottolinea come in un’indagine condotta per il Regno Unito siano state censite oltre 50 definizioni diverse di employee engagement: una varietà che da un lato può disorientare, ma dall’altro lascia spazio alle singole organizzazioni per cercare la definizione più calzante e in linea con le proprie specificità.
In un articolo apparso sull’Harvard Business Review l’employee engagement viene definito come “una miscela composita che unisce senso di appartenenza, voglia di fare e consapevolezza del proprio contributo all’azienda”. Per Gallup l’engagement è il livello di coinvolgimento e di entusiasmo dei dipendenti nei confronti del proprio lavoro e del luogo di lavoro.
In ambito più accademico, dove più che di employee engagement si parla di work engagement, la definizione più diffusa e condivisa a livello globale appartiene allo psicologo del lavoro Wilmar Schaufeli, autore insieme a Laura Borgogni e Pieternel Dijkstra del libro “Engagement: la passione nel lavoro” (Franco Angeli). Per Schaufeli, l’employee engagement è uno stato d’animo positivo e appagante legato al lavoro costituito da tre componenti fondamentali: il vigore, la dedizione e l’assorbimento.
Dipendenti e collaboratori risultano dunque ingaggiati se ricorrono tre condizioni:
- sono disposti a investire energie e sforzi nel proprio lavoro anche di fronte a difficoltà;
- sono entusiasti, ispirati, consapevoli, orgogliosi di ciò fanno e ne percepiscono il senso;
- sono così concentrati su ciò che fanno da non accorgersi quasi del tempo che passa.
Employee engagement: la fotografia del report Gallup
Lo State of the Global Workplace è un approfondito report che ogni anno esamina il livello di engagement nelle organizzazioni e aziende di diversi Paesi, fornendo una fotografia aggiornata sul livello di ingaggio e in generale sullo stato di salute di lavoratori e imprese.
Una delle evidenze che emergono dal report è infatti che l’engagement sul luogo di lavoro è legato anche al livello di benessere fisico e psicologico che le persone sperimentano nella loro vita privata. Comprensibile, dal momento che trascorriamo lavorando la maggior parte del nostro tempo, se escludiamo il sonno.
L’edizione 2024 del report ha preso in esame un campione di circa 128 mila persone di 160 diversi Paesi. Dalla survey emerge che, a livello globale, solo il 23% delle persone si dichiara ingaggiata sul lavoro. La maggioranza delle persone (63%) non è ingaggiata, mentre il 15% si dichiara actively disengaged; è quella parte di popolazione aziendale che, oltre a non sentirsi coinvolta, addirittura rema contro l’azienda.
Il report mette in relazione i livelli di engagement anche con le emozioni negative e positive provate nella vita extra lavorativa, dal momento che come già accennato i dati mostrano una correlazione tra il coinvolgimento sul lavoro e il benessere complessivo percepito dalle persone nella loro vita.
Anche se non tutti i problemi di salute mentale sono legati al lavoro, chi non ama il proprio impiego tende ad avere livelli più alti di stress e preoccupazione quotidiani, oltre a livelli elevati di tutte le altre emozioni negative mappate dal report: rabbia, tristezza, solitudine.
Per quanto riguarda nello specifico lo stress – provato a livello globale dal 41% dei dipendenti – e la rabbia, il survey di Gallup mostra che a soffrirne di più è la fascia degli actively disengaged, con percentuali più alte rispetto anche ai disoccupati.
In sintesi: avere un lavoro che non piace e non coinvolge è peggio che non avere affatto un lavoro. Al contrario, un lavoro che piace e relazioni lavorative significative sono associati ad alti livelli di piacere quotidiano e a bassi livelli di tutte le emozioni negative quotidiane.
Italia terzultima in Europa per employee engagement
Se la situazione a livello globale è poco rosea, il focus sull’Europa e sull’Italia è ancora più preoccupante. L’Europa è infatti l’area geografica che registra in media il tasso più basso di engagement nel mondo (13%), e il nostro Paese è al terzultimo posto in Europa: appena l’8 per cento delle persone intervistate si dichiara engaged, anche se il dato è in crescita rispetto alla precedente edizione del report (quando la percentuale di dipendenti engaged era appena del 5%).
In Italia il 25% degli intervistati prova quotidianamente tristezza, mentre il 46% avverte stress sul lavoro. Basso, invece, il livello di rabbia provato sul lavoro: lo prova l’11% contro una media globale del 21%.
L’insoddisfazione legata all’aspetto lavorativo delle persone si riflette in una percentuale piuttosto alta di persone (41%) che dichiara di essere attivamente alla ricerca di un nuovo lavoro: è un dato importante in un’epoca in cui la retention delle persone e in particolare dei talenti è una delle più grandi preoccupazioni delle aziende.
I motivi dei bassi livelli di engagement
Indagare i motivi di quella che potremmo definire una disaffezione delle persone nei confronti del lavoro è un compito impossibile da esaurire nel perimetro di un articolo. Di certo il contesto attuale appare sempre più complesso, incerto, attraversato da trasformazioni profonde e da fenomeni sistemici e globali – climate change, crisi geopolitiche e guerre, pandemie – e segnato dall’emersione di nuove sensibilità e bussole valoriali.
Concetti come la qualità emotiva dell’ambiente di lavoro, l’equilibrio tra vita lavorativa e non lavorativa, il benessere psico-fisico individuale, l’attenzione a temi etici e in generale il senso per cui si lavora hanno guadagnato sempre più importanza, aggiungendosi a quei parametri più tradizionali – retribuzione, benefit – ancora necessari, ma non più sufficienti.
Di conseguenza, se le persone non percepiscono un adeguato impegno della propria azienda in questi “nuovi” ambiti e vedono disattese le proprie aspettative in merito, sviluppano un’insoddisfazione che può poi virare verso un’ampia gamma di emozioni negative e sfociare in stress, insicurezza, burnout, tristezza, rabbia.
Quali sono i vantaggi di alti tassi di engagement
Prima di capire come i manager possono intervenire per migliorare l’engagement dei propri collaboratori, analizziamo brevemente l’impatto che il coinvolgimento delle persone ha su aziende e organizzazioni.
Nel già citato libro di Emma Bridger sono presi in esame tutti gli ambiti in cui alti tassi di engagement dei dipendenti producono risultati positivi: dalla produttività dell’azienda al rapporto con la clientela – collaboratori più coinvolti hanno effetti positivi sulla customer experience -, dalla reputazione fino a effetti più intuitivi come la riduzione delle assenze e del turnover volontario dei dipendenti e l’incremento del loro benessere.
Una delle prime ricerche sulla relazione tra engagement e performance delle organizzazioni è stata quella pubblicata nel 1998 sull’Harvard Business Review che ha analizzato la positiva concatenazione tra soddisfazione dei dipendenti, soddisfazione dei clienti e aumento dei profitti verificatasi nel case study di Sears, catena della grande distribuzione statunitense.
Un altro studio dettagliato (seppur datato) condotto dalla società Willis Towers Watson ha preso in esame oltre 664.000 dipendenti di più di 50 aziende a livello globale, misurando per 12 mesi l’engagement accanto a indicatori di business performance più tradizionali come l’utile netto. Lo studio ha dimostrato come aziende con punteggi di engagement più alto abbiano registrato un incremento dell’utile netto del 13,7%, a fronte di un calo dell’utile netto del 3,8% registrato nelle aziende con engagement più basso.
Gallup ha invece evidenziato più recentemente come le organizzazioni che riescono ad aumentare il numero di dipendenti ingaggiati riescano a ottenere il 78% in meno di assenteismo, tra il 13 e il 17% di produttività in più, minori tassi di turnover e un aumento del 68% del benessere dei lavoratori. Al contrario, bassi livelli di engagement hanno un costo enorme per le imprese, che la multinazionale statunitense stima in 8,9 trilioni di dollari l’anno a livello globale.
Come funziona l’engagement: perché dipendenti coinvolti sono più efficaci
Anche se non è oggetto dell’articolo, vale la pena soffermarsi un attimo sul funzionamento dell’engagement, ossia rispondere alla domanda: perché persone più coinvolte, motivate e felici sul lavoro rendono di più?
A indagare su questi temi è una branca della psicologia chiamata psicologia positiva. Uno degli autori di riferimento è Shawn Achor, che per 12 anni ha studiato ciò che rende la gente felice. Nel suo libro The Happiness Advantage, Achor ha sostenuto che l’attuale paradigma che regola il lavoro – lavorare sodo per avere più successo e quindi essere più felici e ingaggiati – dovrebbe essere capovolto. L’engagement, in sostanza, è un precursore del successo piuttosto che il risultato del successo.
Sebbene non manchino le critiche al lavoro di Achor e in generale alla psicologia positiva, è da rimarcare che le neuroscienze hanno dato una base scientifica agli studi sull’importanza dell’engagement. Persone che sperimentano emozioni positive sul lavoro registrano un aumento di serotonina e dopamina, sostanze chimiche che non solo ci fanno sentire bene, ma in sostanza ci fanno “pensare meglio”: aumentano le capacità di problem-solving, il pensiero creativo e in generale le nostre prestazioni.
Per quanto ogni individuo abbia le sue peculiarità e ogni emozione abbia la sua importanza e debba essere tenuta in conto, provare benessere sul luogo di lavoro, come dimostra poi empiricamente il survey di Gallup, produce di certo più vantaggi che svantaggi, sia per le persone sia per le organizzazioni.
Il ruolo dei manager per aumentare l’employee engagement
Assodati i vantaggi di buoni livelli di engagement, come possono aziende e organizzazioni aumentare il coinvolgimento dei propri dipendenti e collaboratori? E quale ruolo hanno i manager? Sono domande strettamente collegate, in quanto Gallup – così come altri report e studi – sottolinea come i manager incidano per il 70% nelle variazioni del livello di coinvolgimento dei dipendenti.
L’employee engagement non dovrebbe quindi essere relegato a compito delle risorse umane, ma dovrebbe essere la responsabilità principale di tutti i manager. E la prima cosa che questi dovrebbero fare è fungere da modelli positivi. I risultati del report di Gallup dimostrano infatti che, quando i manager sono impegnati e coinvolti sul lavoro, è più probabile che lo siano anche coloro che non ricoprono ruoli manageriali.
Una ricerca condotta nel 2011 dal CIPD (Chartered institute of personnel and development, associazione britannica di professionisti della gestione delle risorse umane), aveva evidenziato quali fossero i comportamenti del management importanti ai fini dell’employee engagement: un comportamento aperto, corretto e coerente; la gestione di conflitti e problemi; la competenza, la chiarezza e la capacità di guida; la costruzione e il sostegno delle relazioni; il sostegno allo sviluppo.
Le ricerche condotte da Gallup aggiungono che manager efficaci devono assicurarsi che i loro dipendenti sappiano qual è il lavoro da svolgere, li devono sostenere e difendere quando necessario, devono spiegare come il loro lavoro si collega al successo dell’organizzazione. I manager devono essere grandi motivatori, promuovere l’impegno dei propri collaboratori definendo obiettivi chiari, fornendo feedback regolari e lasciando autonomia e responsabilità alle singole persone.
L’employee engagement sembra dunque essere principalmente un problema di gestione delle persone, come sintetizza lo stesso CEO di Gallup, Jon Clifton, nell’editoriale che apre lo State of the Global Workplace: 2024 Report: “Cambiare il modo in cui gestiamo le persone è fondamentale per ridurre lo stress sul lavoro e nella vita”.
L’ascolto dei propri dipendenti come base per sviluppare l’engagement
Provare a delineare un’unica strategia per migliorare l’engagement di ogni tipo di organizzazioni e aziende è un tentativo inutile e controproducente, anche alla luce dei modi diversi in cui ogni realtà può definire e interpretare l’engagement. Ma c’è un elemento che deve accomunare ogni engagement plan: l’ascolto delle persone.
Instaurare un dialogo è fondamentale per conoscere le esigenze delle persone che fanno parte dell’azienda, ciò che le motiva a restare, ciò che le spinge a impegnarsi sempre di più in ciò che fanno. Le risposte a queste tematiche variano nel tempo e riflettono sensibilità diverse a seconda delle generazioni, del ruolo in azienda, della seniority, nonché della psicologia dei singoli individui.
Una complessità di cui tenere conto e che deve anche fungere da monito: lavorare sull’employee engagement richiede tempo e costanza. Ottenere alti tassi di coinvolgimento è un obiettivo che una volta raggiunto va mantenuto nel tempo, e che può non durare a lungo se viene meno il commitment dell’organizzazione – e soprattutto dei suoi manager – per conseguirlo.
L’ascolto – che deve essere continuativo e non solo saltuario – è in ogni caso solo la base su cui costruire piani di sviluppo dell’engagement, che possono seguire diversi modelli. Tra questi accenniamo a quello proposto da Gallup, suddiviso, in ordine gerarchico, in quattro livelli: i bisogni di base, il contributo individuale, il lavoro di squadra e la crescita.
Soddisfare le esigenze che emergono nell’ambito dei tre livelli fondamentali – liberare le persone dallo stress inutile, prendersene cura, ascoltarle, aiutarle a percepire l’importanza del proprio contributo e aiutarle a crescere – crea un ambiente di fiducia e sostegno che consente ai manager e ai dipendenti di ottenere il massimo dal livello superiore, che è appunto quello della crescita personale. È importante notare che i livelli non sono delle fasi da esaurire prima di passare a quella successiva, ma costituiscono un quadro d’insieme: occorre soddisfare contemporaneamente le esigenze di tutti i livelli, in un processo continuo.
Come aumentare l’employee engagement: alcuni casi studio
Sebbene i dati dell’ultimo report Gallup sull’engagement non siano confortanti, ci sono aziende innovative che sul tema del coinvolgimento stanno portando avanti soluzioni significative. L’articolo L’engagement alla base di performance eccellenti pubblicato sull’Harvard Business Review Italia elenca alcuni casi.
Microsoft, ad esempio, ha puntato sulla piena flessibilità dei propri dipendenti e ha poi introdotto il concetto di fioritura (thriving) dei propri impiegati. Si tratta di una propria interpretazione dell’engagement inteso come lo strumento per far fiorire i dipendenti, metterli nelle condizioni di percepire come significativo il loro lavoro e farli sentire pieni di energia e potenzialità. Microsoft ha anche ridefinito la piramide dei bisogni di Maslow, creando il framework delle 5P: Pay, Perks, People, Pride e Purpose (retribuzione, vantaggi, persone, orgoglio e purpose), in cui le leve per arrivare alla fioritura sono messe in ordine crescente.
Un altro esempio interessante, che riguarda un’impresa italiana che opera su scala globale ed è incentrato sul valore dell’ascolto dei propri dipendenti, è quello del Gruppo Angelini Industries. Il colosso farmaceutico ogni due anni circa conduce un survey per ascoltare le sue seimila persone circa al fine di misurare e monitorare il benessere organizzativo. Dai risultati del survey del 2021 è emerso come le diverse generazioni abbiano sensibilità diverse rispetto alle leve di motivazione sull’engagement e richiedano strategie diversificate.
Da qui è nata l’idea costituire un team di lavoro intergenerazionale che ha ideato un metodo di identificazione, selezione e prioritizzazione delle iniziative di engagement basato su un algoritmo. Quest’ultimo seleziona e vaglia tutte le iniziative proposte sulla base di tre criteri: allineamento ai valori del grippo, fattibilità e scalabilità intergenerazionale. In questa maniera il gruppo, nel suo engagement plan, può valorizzare quegli aspetti che generano valore per tutti e lasciare invece a team specifici flessibilità sul portare avanti iniziative legate a specifici contesti.
Conclusioni
Avere dipendenti e collaboratori coinvolti, motivati, impegnati e appassionati di ciò che fanno è fondamentale per aziende e organizzazioni che vogliano prosperare. Alti tassi di engagement, oltre a incidere sul benessere lavorativo ed extralavorativo delle persone, hanno effetti positivi in praticamente tutti gli ambiti aziendali: dalle performance alla customer experience, dal turnover all’assenteismo.
È dunque evidente come i bassi livelli di employee engagement che si registrano oggi a livello globale e in misura più marcata in Italia costituiscano un grosso problema, alla cui soluzione devono lavorare soprattutto i manager. È dal loro operato, dalle loro competenze e dai loro comportamenti che dipende in grande misura il livello di coinvolgimento, impegno ed entusiasmo dei loro collaboratori.