Hybrid working oggi: vantaggi, sfide e resistenze per aziende e persone

Alcune aziende hanno abbracciato con entusiasmo il lavoro ibrido, altre faticano a vincere le resistenze. Vediamo i principali vantaggi e le sfide che questa modalità lavorativa pone.

Il lavoro ibrido (o hybrid working) è una modalità lavorativa che promette di combinare la flessibilità dello smart working con i benefici della prossimità garantita dal ritrovarsi in azienda assieme ai colleghi. Nel panorama lavorativo post-pandemia, alcune aziende hanno abbracciato con entusiasmo questa modalità lavorativa che sembra incontrare il favore dei dipendenti, mentre altre faticano a vincere le resistenze e adattarsi.

Tra bruschi salti avanti e repentini ritorni al passato, la maggior parte delle aziende sta probabilmente valutando la tipologia di modalità lavorativa più idonea per le proprie esigenze, alla ricerca di quell’equilibrio che è fondamentale sia per le persone, alla ricerca del perfetto mix tra work e life, sia per le organizzazioni.    

In questo articolo chiariamo cosa si intende per lavoro ibrido, riportiamo alcuni dati recenti sulla sua diffusione e analizziamo poi quali sono i principali vantaggi dell’hybrid working per aziende e persone e quali le principali sfide che questa modalità lavorativa pone.

Hybrid working, smartworking, telelavoro: un po’ di chiarezza

Negli ultimi anni il concetto di lavoro ibrido si è affacciato con forza nel panorama lavorativo italiano e internazionale, accostato a termini come lo smart working, il lavoro agile, il telelavoro o il lavoro da remoto. Vediamo allora quali sono differenze e analogie tra questi termini.

Telelavoro o lavoro da remoto (remote working)

Il telelavoro e il lavoro da remoto possono essere intesi come sinonimi. Indicano una prestazione di lavoro effettuata regolarmente al di fuori della sede di lavoro, con il supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione. È una modalità di lavoro di cui si parla già dagli anni ’70 e che è rigidamente normata a livello italiano da decreti e accordi che risalgono al 1999. Rigidi sono anche i tempi di lavoro e l’organizzazione delle attività dei dipendenti.    

Smart working o lavoro agile

Anche lo smart working e il lavoro agile possono essere intesi come sinonimi, tanto che “lavoro agile” è l’espressione con cui di fatto è regolato lo smart working in Italia (con una legge che risale al 2017 ed è dunque antecedente alla pandemia di Covid-19). È però con la pandemia che il fenomeno dello smart working è esploso: secondo l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, il numero di lavoratori in smart è passato da 570.000 a 6 milioni e mezzo durante la prima ondata del Covid-19.

Lo stesso Osservatorio ha coniato una definizione di smart working o lavoro agile: “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

In molti casi, ciò che è avvenuto durante la pandemia può essere definito come smart working emergenziale più che smart working in senso stretto. Affinché il lavoro sia davvero smart, infatti, le aziende e organizzazioni devono cambiare il proprio approccio al modo di lavorare e collaborare intervenendo su quattro pilastri: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e redesign degli spazi fisici, che dovranno trovare una loro nuova identità ibrida.

Lavoro ibrido (hybrid working)

Il lavoro ibrido è un concetto diverso sia dal telelavoro sia dallo smart working, anche se può presentare, a seconda degli accordi siglati dai lavoratori con le aziende, aspetti dell’una e dell’altra modalità lavorativa.

Con lavoro ibrido si intende sostanzialmente una modalità di lavoro flessibile in cui un lavoratore opera in parte da remoto (da casa o da un altro luogo) e in parte presso la sede della propria azienda. Si distingue tra lavoro remote-first, quando la modalità da remoto è predominante rispetto alla presenza in azienda, e lavoro office-first quando invece avviene il contrario (predominanza del lavoro in ufficio rispetto a quello da remoto).

In sintesi, il lavoro ibrido è una forma di lavoro smart, ma non è detto che lo smart working implichi il lavoro ibrido: uno smart worker può ad esempio lavorare completamente da remoto, senza dunque quel mix tra presenza e distanza caratteristico del lavoro ibrido.

Anche il ricorso all’hybrid working, come per lo smart working, comporta per un’organizzazione la necessità di ridefinire a livello organizzativo, strategico e tecnologico gli spazi e le modalità di lavoro. Sorge anche la necessità, da parte dei manager, di gestire le differenze di potere strutturalmente inevitabili che si creano in un ambiente ibrido: si creano diseguaglianze tra chi è a casa e chi è in ufficio in termini di infrastrutture tecnologiche e visibilità e bisogna tener conto anche delle competenze necessarie a destreggiarsi in un ambiente fisico e in uno virtuale, che non tutti possiedono in egual misura.

Non affrontare questi aspetti, come sottolinea l’articolo Making the hybrid workplace fair pubblicato sull’Harvard Business Review, può danneggiare le relazioni, impedire una collaborazione efficace e, in ultima analisi, ridurre le prestazioni.

Per facilitare la corretta attuazione del lavoro ibrido sono sorte nuove professioni. Iwg, uno dei più importanti fornitori al mondo di spazi per lo smart working, in uno studio riportato da diverse testate tra cui Forbes sottolinea come in alcune aziende sia già realtà la figura dallo chief hybrid officer, aiutata in alcuni casi dall’office synchronizer.

Il primo deve supervisionare e ottimizzare gli ambienti e i processi del lavoro ibrido, con l’obiettivo di bilanciare le esigenze dei dipendenti senza pregiudicare la produttività e superando le criticità di natura logistica. Il secondo si occupa invece di rendere sempre più efficace la collaborazione tra colleghi che lavorano da luoghi diversi.

Hybrid work: dati su diffusione nel mondo e in Italia

Chiarite le distinzioni e le analogie tra le differenti definizioni su vecchie e nuove modalità lavorative, ed evidenziato come spesso alcuni termini vengano utilizzati in modo improprio come sinonimi, analizziamo alcuni dati sulla penetrazione del lavoro ibrido tra le maglie di aziende e organizzazioni.

Secondo Eurostat, l’istituto di statistiche europeo, nel 2023 nel nostro Paese solo il 4,4% dei lavoratori e delle lavoratrici hanno potuto svolgere il proprio lavoro in smart working per almeno la metà del monte ore settimanale (parliamo dunque effettivamente di lavoro ibrido, svolto in parte in modalità smart e in parte in azienda).

Un dato sotto la media europea (pari al 9%), che ci pone in una delle posizioni di coda e che è molto lontano da quello della Finlandia, che guida questa classifica con il 22,4% di persone che lavora in smartworking per più della metà della settimana lavorativa.

Il già citato Osservatorio del POLIMI, uno dei più autorevoli sul fenomeno dello smart working e hybrid working, fornisce altre cifre: nel 2023, dopo due anni di graduale riduzione rispetto ai picchi della pandemia, gli smart worker nel nostro Paese sono tornati a crescere, assestandosi a 3,585 milioni. E le stime per l’anno in corso, il 2024, parlano di un’ulteriore crescita, fino a 3,65 milioni di smart worker.

Iniziative di smart working sono previste dal 96% delle grandi imprese, dal 56% delle PMI e dal 61% degli enti pubblici.

Queste cifre sono la parte evidente di una realtà molto frastagliata, che anche il dibattito sui media non riesce a fotografare fedelmente. L’attenzione è infatti spesso polarizzata dalle iniziative estreme, tra aziende che promettono di cancellare l’orario di lavoro, ma magari falliscono, e organizzazioni (e pubbliche amministrazioni) che tornano a modalità lavorative pre-pandemia, incuranti di quelli che sono ormai nuovi bisogni delle persone.

In questa polarizzazione, il lavoro ibrido sembra porsi come il giusto compromesso tra i benefici offerti dallo smart working e quelli del lavoro in sede. Non è un caso se numerosi sondaggi suggeriscano come le persone preferiscono sempre più questa modalità lavorativa.

Già alla fine del 2021, quindi in piena pandemia, un sondaggio condotto da Linkedin aveva rivelato come il 47% dei professionisti italiani preferisse un modello ibrido, il 30% un modello completamente in presenza e il 23% un lavoro totalmente da remoto. Dati sostanzialmente confermati da un recente sondaggio condotto da NielsenIQ, che rivela che il 49% degli intervistati preferisce una qualche forma di lavoro agile (quindi anche l’hybrid work), contro il 42% degli intervistati che invece preferisce lavorare in ufficio.   

I vantaggi dell’hybrid work per aziende e persone

Il dibattito sui vantaggi del lavoro ibrido – e più in generale dello smart working – è in corso ormai da tempo e si è intensificato a seguito della crisi pandemica e dei lockdown che hanno costretto (o consentito a) milioni di lavoratori a lavorare da casa.

Con la fine della pandemia, alcune aziende e organizzazioni hanno optato per un cambio di direzione sostenendo i vantaggi di un ritorno in ufficio, mentre altre sono andate avanti sulla strada dello smart working sperimentando anche altre forme di lavoro flessibile, come ad esempio la settimana lavorativa di quattro giorni (settimana corta), le ferie illimitate per i dipendenti o quello che viene definito temporary distant working o lavoro disperso.

Quest’ultima modalità consente a dipendenti e collaboratori di lavorare per almeno due settimane in luoghi lontani dall’ufficio e dalle proprie abitazioni, ad esempio scegliendo come postazione lavorativa le seconde case di vacanza o altri luoghi. In alcune aziende che la applicano, come nella Independent design company Logotel, questa modalità lavorativa viene definita full remote ed è un’opzione di flessibilità in più che l’azienda concorda con le proprie persone.  

Lo studio su Nature: il lavoro ibrido migliora la retention e non riduce le performance

Uno degli studi più recenti sul lavoro ibrido è quello condotto dal professore di Economia della Stanford University Nicholas Bloom, pubblicato su Nature con il titolo Hybrid working from home improves retention without damaging performance.

Bloom, che in passato aveva evidenziato come lavorare esclusivamente da remoto avesse effetti negativi sulla produttività rispetto a lavorare dall’ufficio, ha condotto un esperimento su oltre 1.600 lavoratori dell’azienda di viaggi cinese Trip.com, dividendoli in due gruppi: il primo ha potuto lavorare in modalità ibrida, il secondo ha lavorato esclusivamente in sede.  

L’esperimento, durato sei mesi, ha rivelato che il lavoro ibrido ha migliorato la soddisfazione sul lavoro e ha ridotto di un terzo i tassi di abbandono, migliorando dunque la retention senza avere effetti negativi sulle prestazioni dei dipendenti. Inoltre, i 395 manager coinvolti nell’esperimento, alla luce dei risultati, hanno rivisto le loro opinioni sull’effetto dell’hybrid working sulla produttività, passando da una percezione negativa a una positiva.

Al di là degli aspetti evidenziati dallo studio di Bloom, possiamo riassumere di seguito alcuni vantaggi dell’hybrid working per aziende e persone.

  • Maggiore flessibilità, benessere e autonomia. Il lavoro ibrido offre ai dipendenti la possibilità di bilanciare meglio vita lavorativa e privata, riducendo ad esempio i tempi di pendolarismo e aumentando il benessere percepito. Un lavoro ibrido ben implementato responsabilizza inoltre i dipendenti, garantendo loro un livello di autonomia che li rende più consapevoli del loro contributo all’azienda o all’organizzazione.
  • Attrattività. Non doversi recare tutti i giorni in ufficio può essere un incentivo per le persone e può dunque diventare un fattore attrattivo per i talenti in cerca di un’occupazione, per cui la flessibilità – specie nelle generazioni più giovani – è un aspetto in molti casi irrinunciabile.
  • Riduzione dei costi e dell’impatto ambientale. Avere parte del personale che lavora da remoto può comportare risparmi sui costi degli uffici e delle infrastrutture ed è anche un tema di sostenibilità: consente infatti di ridurre l’impronta ambientale di aziende e organizzazioni. Il Politecnico di Milano ha stimato che bastano due giorni a settimana di lavoro da remoto per evitare l’emissione di 480kg di CO2 all’anno a persona, grazie alla diminuzione degli spostamenti e al minor utilizzo degli uffici.

Le sfide e resistenze legate al lavoro ibrido per aziende e persone

Nonostante i vantaggi elencati nel paragrafo precedente, non mancano le resistenze da parte di aziende, organizzazioni e anche da parte delle persone rispetto all’adozione di un modello di lavoro ibrido. È un atteggiamento comprensibile, considerando la novità di questa modalità lavorativa rispetto a quanto avvenuto finora e i risultati ancora parziali e non consolidati degli studi fin qui condotti. Tante sono anche le sfide che implementare con efficacia l’hybrid working nella propria azienda comporta. Vediamo allora in breve a cosa sono legate alcune di queste sfide e resistenze.      

Gestione della collaborazione e della comunicazione. La diffusione di smart working e lavoro ibrido è stata direttamente proporzionale a quella delle tante piattaforme tecnologiche per migliorare la collaborazione e la comunicazione a distanza tra colleghi e team. Mantenere la comunicazione efficace e la collaborazione fluida tra dipendenti che lavorano in parte in presenza e in parte da remoto è sicuramente una sfida, ma anche un’opportunità. In alcuni casi il proliferare dei tool di comunicazione e collaborazione ha provocato un collaboration overload. In altri casi – pensiamo ad esempio alle digital business community che Logotel progetta e anima – la dimensione ibrida fisico-digitale permette di migliorare la qualità della collaborazione e della comunicazione, in quanto offre alle persone – indipendentemente dalla loro postazione lavorativa – una possibilità in più per condividere best practice, supportarsi, intensificare le relazioni di valore.

Sicurezza e protezione dei dati. La cybersicurezza è un tema sempre più sensibile per aziende e organizzazioni diffuse, reticolari e ibride. Le imprese devono assicurarsi che i dipendenti che lavorano da remoto adottino pratiche di sicurezza adeguate per proteggere i dati aziendali e limitare le minacce esterne e gli attacchi informatici.

Cultura aziendale e senso di appartenenza. Con la perdita della loro dimensione fisica, molte organizzazioni hanno anche smarrito il proprio centro di gravità, che è il luogo in cui si sedimenta il senso. Mantenere una cultura aziendale forte e un senso di appartenenza tra i dipendenti può essere più difficile in un ambiente di lavoro ibrido, in cui vanno dunque anche ripensati i rituali e le occasioni per stare insieme.

Anche in questo ambito un approccio community-centred può aiutare, come sottolinea il Ceo di Logotel Nicola Favini in un articolo pubblicato per Weconomy, progetto di ricerca open source della Independent design company: “Nelle organizzazioni si sta perdendo il ‘senso’. Il senso non è solo il perché che differenzia, ma l’anima che muove e attiva. Il senso è una proprietà emergente di una comunità che c’è. Di un insieme di persone che si conoscono, scambiano, entrano in contatto per creare legami e collaborare al di là di ruoli, budget e KPI. Il senso si passa come la cultura, con contatti e rituali, con storie raccontate e storie da vivere insieme. Lo spirito di comunità è il vettore del senso”.

Isolamento e solitudine. Secondo lo State of the Global Workplace 2024, il lavoro in sede è associato a minori livelli di solitudine percepiti dai dipendenti. Rispetto alla media delle risposte, chi lavora completamente da remoto riferisce di provare livelli di solitudine superiori (25%) rispetto a chi lavora sempre in ufficio (16%). In questo senso il lavoro ibrido, se gestito con flessibilità, potrebbe risultare un compromesso e garantire alle persone il giusto livello di connessione e socialità di cui sentono di aver bisogno. Va sottolineato comunque che, come rivelato da uno studio Gallup, le interazioni lavorative non devono necessariamente avvenire di persona per fornire un beneficio: tutte le forme di socialità sono associate a un umore migliore, anche se le interazioni mediate dalla tecnologia hanno delle soglie molto basse.

Produttività: per quanto studi come quello già citato di Nature non evidenzino ripercussioni del lavoro ibrido sulle performance dei dipendenti, alcuni manager potrebbero essere comunque riluttanti ad adottare questa modalità lavorativa proprio per timori legati a una diminuzione della produttività.

Fiducia: la mancanza di fiducia nei dipendenti e la paura di perdere il controllo possono ostacolare l’adozione del lavoro ibrido. Questa modalità lavorativa richiede il passaggio da uno stile manageriale e di leadership basato sul controllo, a uno basato sulla fiducia e sulla responsabilizzazione dei propri dipendenti e collaboratori.   

Alcune riflessioni conclusive

Il lavoro ibrido si sta affermando come un possibile compromesso tra la modalità lavorativa full remote caratteristica della fase di smart working emergenziale legata al Covid-19 e il ritorno in ufficio deciso da alcune aziende post-pandemia.

I sostenitori dell’hybrid work sottolineano come il mix tra lavoro in sede e da remoto produca vantaggi non solo per le persone, ma anche per aziende e organizzazioni, in termini di flessibilità, riduzione dei consumi e dell’impronta ambientale, retention dei dipendenti.

D’altra parte, al di là dei casi in cui il lavoro ibrido non è proprio applicabile, va sottolineato come l’hybrid working non funziona a priori per qualsiasi settore, ma deve sempre adattarsi al contesto aziendale.

In un mercato del lavoro in profonda trasformazione, occorre quindi ricordare ai manager come il lavoro ibrido non sia purtroppo una formula magica che garantisce in sé il successo. Lo ha ben spiegato, in un articolo pubblicato su Forbes, Rossella Cappetta, associate dean open programs di Sda Bocconi e professoressa di organizzazione del lavoro: “Non sempre bisogna scegliere il lavoro agile per generare maggiore valore per i dipendenti. Penso, per esempio, al corporate welfare: l’assistenza sanitaria, gli asili, ma anche la palestra. Ci sono tante leve, ma le aziende devono saperle usare. Questo significa avere responsabili delle risorse umane competenti, che sappiano comprendere i bisogni delle risorse e che sappiano gestire numerosi strumenti tutti insieme, adattandoli ai diversi contesti”.