Il futuro del lavoro: smart working, skill-based organization, employee experience, cosa succederà nel 2025

Quali saranno le tendenze che plasmeranno il mondo del lavoro nel 2025? Una breve panoramica per orientarsi tra le sfide più urgenti.

A partire da gennaio 2025 centinaia di migliaia di dipendenti di Amazon dovranno dire addio allo smart working e rientrare in ufficio cinque giorni alla settimana. La decisione del colosso dell’e-commerce fa seguito a quella di altre aziende che, dopo il ricorso emergenziale al lavoro “da casa” durante il periodo di pandemia, hanno fatto parziale o totale marcia indietro sulla modalità lavorativa da remoto.

Il dibattito tra sostenitori del lavoro da remoto e fautori del lavoro in presenza – due estremi tra cui si situa l’hybrid working – è destinato a proseguire per tutto il 2025, e probabilmente anche oltre. È una questione mediaticamente interessante, almeno a giudicare dagli articoli apparsi anche sulle testate giornalistiche generaliste, ma non è l’unico aspetto destinato a ridefinire il lavoro nell’immediato futuro.

In questo articolo proviamo allora a fornire una breve panoramica di alcune delle possibili evoluzioni nel mondo del lavoro nel 2025. Consapevoli che, se c’è una lezione che abbiamo appreso dal recente passato, è che fare previsioni, anche di breve periodo, è diventato estremamente difficile a causa dell’estrema incertezza e dell’instabilità del contesto in cui viviamo.       

Smartworking vs. rientro in ufficio: cosa prevarrà nel 2025?

Il 2025, come abbiamo già accennato, inizierà con un dato di fatto per circa 350 mila lavoratori di Amazon: la fine del lavoro “da casa” e il ritorno in ufficio cinque giorni su cinque. “Stare insieme in ufficio rende più semplice imparare, fare brainstorming e inventare”, ha scritto l’amministratore delegato di Amazon, Andy Jassy, nella lettera con cui lo scorso settembre ha annunciato il provvedimento.

Il “caso Amazon” non è isolato. Altre imprese – tra cui UPS, Boeing – hanno seguito o seguiranno l’esempio del colosso dell’e-commerce, e alcune lo hanno anche anticipato. Si pensi a quanto ha fatto l’imprenditore Elon Musk con le proprie aziende e alle sue dichiarazioni sul rientro in ufficio di una parte dei lavoratori federali degli Stati Uniti, che dovrebbe essere uno dei provvedimenti del futuro Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE).

Sono i segnali di una tendenza, quella del “ritorno in ufficio”, che sembra confermata anche da alcuni survey. Secondo il KPMG Ceo Outlook 2024, ad esempio, l’83% dei CEO delle 1300 aziende coinvolte a livello globale dal survey prevede un ritorno completo in ufficio entro i prossimi tre anni. Una percentuale cresciuta sensibilmente rispetto al 2023, quando questa previsione era condivisa dal 64% degli amministratori delegati.

Il 2025 sarà dunque l’anno del rientro in ufficio?

Difficile ipotizzare una previsione valida per i diversi contesti geografici. In Italia, ad esempio, secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2025 il numero di smart worker crescerà del 5%, arrivando a un totale di 3,7 milioni di persone rispetto alle 3,55 milioni del 2024.

Ma la scelta tra forme di lavoro flessibile o il ritorno al lavoro in presenza dipende anche dai settori. Secondo un report di Flex Index che monitora le tendenze delle politiche sul lavoro flessibile nelle aziende tech con oltre 500 dipendenti, solo il 3% di queste imprese richiede personale a tempo pieno in ufficio, mentre il 79% offre politiche sul lavoro flessibile.

Ogni “fazione”, d’altronde, sembra avere le proprie ragioni. Emily Cox Pahnke, professoressa associata di gestione e organizzazione presso la Foster School of Business dell’Università di Washington, ha spiegato che Amazon potrebbe aver subìto impatti organizzativi negativi a causa del lavoro da remoto e ibrido, e che per questo motivo possa essere stata spinta a chiedere il ritorno in sede dei propri dipendenti impiegati in mansioni amministrative (perché, lo ricordiamo, per gli addetti alla logistica e magazzinieri lo smart working non è mai stata un’opzione).

Il professore di Psicologia organizzativa e salute presso l’Alliance Manchester Business School dell’Università di Manchester, Sir Cary Cooper, in un’intervista al quotidiano inglese The Guardian ha definito invece il ceo di Amazon un “dinosauro della nostra epoca”, coniando il termine presenteismo o, in inglese, presenteeism per indicare il ritorno forzato al lavoro in ufficio.

Secondo Cooper i datori di lavoro che impongono requisiti rigorosi al personale per essere in ufficio rischiano di allontanare i lavoratori di talento, danneggiando il benessere dei dipendenti e minando le loro prestazioni finanziarie.

In conclusione, da quanto abbiamo scritto finora appare evidente come il dibattito tra sostenitori e detrattori dello smart working (e in generale, di forme di lavoro flessibile) sia destinato a proseguire anche nel 2025, e come spetti alle singole aziende comprendere quali siano le modalità lavorative più idonee per ottimizzare le proprie performance senza penalizzare il benessere e le esigenze delle proprie persone.   

Continua la guerra dei talenti

La talent war (o “guerra dei talenti”) è un termine introdotto nel 1997 dall’azienda di consulenza McKinsey, utilizzato dapprima in un articolo scritto da Steven Hankin e poi nel 2001 nel libro The War for Talent, scritto da Ed Michaels, Helen Handfield-Jones e Beth Axelrod, sempre consulenti McKinsey.

Il termine si riferisce alla forte competizione tra le aziende per attrarre e trattenere i migliori talenti, cioè quelle risorse umane che possono rappresentare un vantaggio competitivo significativo.

Questa competizione, come si evince dalle date summenzionate, non è recente, ma è diventata particolarmente intensa negli ultimi anni a causa di vari fattori, tra cui il cambiamento demografico e la carenza di competenze specifiche. Le aziende devono quindi adottare strategie efficaci di recruitment e retention per vincere questa “guerra” e mantenere i loro dipendenti più qualificati.

Estendendo la prospettiva dai talenti al personale qualificato, il problema del reperimento di figure specializzate riguarda anche il nostro Paese. Secondo l’Indagine Confindustria sul lavoro 2024, più di due terzi delle imprese italiane segnalano difficoltà nel trovare le competenze necessarie per le proprie attività. Le difficoltà delle imprese riguardano soprattutto il reperimento di profili tecnici, e si concentrano in settori chiave come la transizione digitale, l’internazionalizzazione e la transizione green.

Anche un report di Randstad Enterprise evidenzia come nel 2024 la competizione per i talenti sia stata più intensa che mai. Le rapide trasformazioni tecnologiche e, di conseguenza, a livello di competenze, suggeriscono che la “guerra dei talenti” proseguirà anche nel 2025.

Prosegue l’evoluzione verso le skill based organization

Per skill based organization si intende un nuovo paradigma organizzativo che si concentra sulla valorizzazione delle competenze individuali piuttosto che sui ruoli tradizionali. Questo modello, che supera i tradizionali job title, è emerso in risposta alle sfide del mercato moderno, caratterizzato da rapidi cambiamenti tecnologici e dalla necessità di maggiore flessibilità e adattabilità.

Oltre a queste ultime due caratteristiche, le skill based organization comportano vantaggi in termini di:

  • Valorizzazione del capitale umano. Ogni dipendente è riconosciuto per le proprie competenze uniche, favorendo un ambiente dove creatività e innovazione sono incoraggiate.
  • Inclusione e diversità. Questo modello contribuisce a ridurre i pregiudizi legati a ruoli e titoli, creando un ambiente di lavoro più inclusivo dove le decisioni sono basate su competenze dimostrate.
  • Aumento della produttività, dell’engagement e della retention. La possibilità di lavorare su progetti variabili e di sviluppare nuove competenze aumenta la motivazione dei dipendenti, con un impatto positivo sulla loro produttività complessiva. Inoltre, essere apprezzati e poter contribuire con le proprie competenze valorizza le persone e contribuisce all’aumento del loro engagement e della retention.
  • Maggiore mobilità interna. Il focus sulle skill più che sui tradizionali ruoli favorisce una maggior mobilità interna e la formazione di team “a geometria variabile” legati a specifici progetti. Questo rappresenta un valore sia per le persone, sia per le aziende, che possono fare fronte ai cambiamenti in maniera più rapida attingendo alle risorse e alle competenze che sono già al proprio interno.

Anche se è un trend già in atto, nel 2025 proseguirà l’evoluzione di molte aziende e organizzazioni verso un modello skill based. Secondo una ricerca di Deloitte condotta su oltre 1200 persone distribuite in 10 Paesi, la quasi totalità dei responsabili di business (98%) ritiene che la propria organizzazione debba trasformarsi in una skill based organization.

C’è però una forte discrepanza tra le aziende che hanno dichiarato di aver intrapreso sperimentazioni in tal senso (90%) e quelle che effettivamente applicano il modello skill-based in maniera estesa e ripetibile: sono il 20%, una percentuale che è probabilmente destinata ad aumentare nel 2025.

Secondo una ricerca condotta dall’Independent design company Logotel, per accelerare l’acquisizione di competenze verso una skill-based organization è necessario che le aziende rimappino le skill lavorando principalmente in due direzioni:

  • sfruttando in modo nuovo i dati per potenziare, aggiornare e ricalibrare “portafogli di accelerazione delle competenze” alimentati dai percorsi formativi;
  • favorendo dinamiche di trasferimento delle competenze che non siano solo top-down, ma anche orizzontali, attraverso ad esempio la creazione e l’animazione di tribe di mestieri sulle piattaforme collaborative, che possono veicolare formati innovatividi aggregazione e collaborazione.

Verso una employee experience condizionale?

Un ulteriore trend nell’ambito del lavoro passato in rassegna in questo articolo riguarda come potrà evolversi l’employee experience nel 2025. Per employee experience (EX), si intende l’insieme delle interazioni e delle percezioni che un dipendente ha durante il suo percorso all’interno di un’organizzazione, dalla fase di recruiting fino all’uscita. È l’equivalente, nell’ambito del lavoro, della customer experience (CX).

La gestione dell’esperienza dei dipendenti (employee experience management), dovrebbe rappresentare oggi un pilastro fondamentale nella gestione delle risorse umane, capace di coniugare il benessere e la soddisfazione dei dipendenti con la strategia aziendale. Eppure, secondo la società di consulenza e ricerche Forrester, a livello globale il 2024 è stato “l’inverno dell’EX”.

Secondo le previsioni della società di ricerche, nel 2025 si potrebbe assistere a una sorta di disgelo, con alcune aziende che potrebbero adottare una particolare forma di EX definita employee experience condizionale.

In sintesi, alcuni datori di lavoro potrebbero trattare l’EX “come una carota da far penzolare davanti ai dipendenti piuttosto che come il fondamento di una cultura del lavoro sostenibile”. La stessa Forrester però avverte: un approccio di questo tipo, che subordina i miglioramenti nell’esperienza dei dipendenti e nel coinvolgimento ai risultati, è miope e rischia di produrre nelle organizzazioni crepe destinate ad allargarsi nel tempo.

La sfida legata all’AI adoption

Non possiamo concludere un articolo sull’evoluzione del lavoro nel 2025 senza considerare l’impatto che l’AI, e in particolare l’AI generativa, continueranno a generare su aziende e organizzazioni. Il prossimo anno potrebbe rappresentare uno spartiacque nella curva di adozione di queste tecnologie.

Secondo le proprie stime, la società di ricerche statunitense Forrester prevede che, a livello globale, un’azienda su sette rinuncerà del tutto ad adottare l’AI generativa, rendendosi conto di non avere le competenze, la formazione e l’infrastruttura necessarie per farla funzionare.

Le aziende che invece adotteranno l’AI la integreranno nei loro flussi di lavoro nei momenti critici, aumentando la produttività e preparandosi a un futuro AI-powered. Secondo Forrester, il numero di organizzazioni e aziende che adotteranno l’AI è destinato a passare dal 35% al 50% nel prossimo anno.

In Italia, anche se le stime cambiano molto a seconda delle fonti consultate, si prevede che il numero di aziende che adotteranno l’AI, specie l’AI generativa, aumenterà. Sarà una sorta di necessità strategica per restare competitivi sul mercato, dal momento che, come riporta il Global Technology Report 2024 di Bain & Company, l’adozione dell’AI nelle imprese italiane è ancora inferiore rispetto alla media europea: solo il 7% delle piccole e medie imprese (PMI) e il 24% delle grandi imprese italiane hanno implementato soluzioni di AI, contro una media UE rispettivamente del 9% e del 30%.   

Riflessioni conclusive

Le tendenze che abbiamo esaminato – dal dibattito sullo smart working all’evoluzione verso organizzazioni basate sulle competenze, dalla guerra dei talenti alla sfida dell’AI adoption – suggeriscono che il 2025 sarà un anno di importanti transizioni nel mondo del lavoro. Più che prevedere quale modalità o modello prevarrà, appare evidente come la vera sfida per le aziende sarà quella di trovare il giusto equilibrio: tra presenza fisica e flessibilità, tra valorizzazione delle competenze esistenti e sviluppo di nuove skill, tra adozione tecnologica e centralità delle persone.

Le organizzazioni che sapranno prosperare saranno quelle capaci di costruire un ambiente di lavoro adattivo e resiliente, dove l’innovazione tecnologica – AI in primis – viene integrata in modo consapevole per potenziare, non sostituire, le capacità umane. Un ambiente dove l’employee experience non è una concessione condizionale ma un pilastro fondamentale della cultura aziendale, e dove la flessibilità non è solo una modalità di lavoro, ma un mindset che permea l’intera organizzazione.

Il futuro del lavoro che si profila richiederà quindi alle aziende di ripensare non solo le proprie strutture e processi, ma soprattutto il proprio approccio alla gestione e allo sviluppo del capitale umano, vero motore di ogni trasformazione di successo.