Da qualche anno anche in Italia è possibile fare impresa in maniera diversa, coniugando la ricerca del profitto con il perseguimento di benefici che riguardano tutti i portatori di interesse (stakeholder) di un’azienda, incluso il principale: il nostro pianeta.
Questa possibilità è garantita dalle società benefit, cioè quelle imprese che nel loro statuto hanno unito al perseguimento dell’utile economico anche l’esplicitazione di una o più finalità di beneficio comune, con l’obiettivo di generare un impatto positivo e misurabile per le persone, le comunità e l’ambiente.
Se tutte le società benefit italiane fossero una unica corporation, quest’azienda impiegherebbe oltre 180 mila persone e avrebbe un valore della produzione cumulato pari a oltre 40 miliardi di euro.
Questo dato, che emerge dalla Ricerca nazionale sulle società benefit 2024, fa capire come lo status giuridico di società benefit abbia già rivoluzionato il tradizionale modo di fare impresa, generando un impatto positivo non solo a livello economico – ambito in cui comunque le società benefit mostrano una resilienza e performance superiori alla media del mercato – ma anche a livello ambientale e sociale.
In questo articolo capiremo cosa sono le società benefit, qual è il paradigma che fa da sfondo a questo modello di società, passeremo in rassegna una breve storia delle società benefit e analizzeremo alcune cifre per capire la loro importanza a livello economico, sociale e ambientale.
Paradigma estrattivo vs. rigenerativo
Il principale paradigma economico e sociale di riferimento per Stati, imprese e persone è stato per lungo tempo – e in parte continua ad essere ancora oggi – il cosiddetto paradigma estrattivo. Si tratta di un modello economico e sociale incentrato sull’estrazione e il consumo intensivo delle risorse naturali, che non considera gli effetti a lungo termine di questa continua estrazione sull’ambiente e sulle comunità.
Anche se il paradigma estrattivo ha radici antiche, è con l’avvento del capitalismo industriale nel XIX secolo che questo modello si è intensificato, portando a una rapida industrializzazione e all’estrazione massiccia di risorse per alimentare la crescita economica.
L’accelerazione di questo fenomeno ha fatto emergere i limiti ecologici e le conseguenze ambientali e sociali del paradigma estrattivo, che hanno spinto sempre più persone a una riflessione sulla necessità di un cambio di paradigma.
Agli antipodi del paradigma estrattivo vi è un altro modello che viene chiamato rigenerativo. Il paradigma rigenerativo promuove un modello di business che non solo cerca di ridurre l’impatto ambientale, ma mira attivamente a ripristinare e migliorare gli ecosistemi e le comunità.
Anche in questo caso, esempi di una modalità rigenerativa di utilizzo delle risorse naturali affondano le loro radici nel passato: basti pensare, ad esempio, alla rotazione delle culture.
È tuttavia solo negli ultimi anni che, sull’onda dell’attenzione crescente alla sostenibilità, in tutte le sue dimensioni, un numero crescente di aziende ha sposato una modalità differente di operare: sono le società benefit.
Cosa sono le società benefit
Per definire cosa sono le società benefit utilizziamo le stesse parole contenute nel testo della legge di riferimento, la n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016), con cui lo Stato italiano ha ufficializzato questo tipo di imprese.
Si tratta di società che, “nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”.
Ogni società può definire le proprie finalità di beneficio comune, decidendo di generare uno o più effetti positivi, o di ridurre quelli negativi, rispetto alle categorie elencate in precedenza: persone, comunità, ambiente, ecc…
Come osservano però Paolo Di Cesare ed Eric Ezechieli, fondatori di Nativa, prima società benefit in Europa, per diventare società benefit non basta ufficializzare le finalità comuni nello statuto e perseguirle: “La legge prevede che ogni Società Benefit debba misurare il proprio impatto e rendicontare obiettivi e risultati, pubblicandoli assieme al bilancio – scrivono i due founder di Nativa in un articolo sul Sole 24 Ore –. In questo senso, l’adozione della qualifica Benefit non rappresenta un traguardo, bensì un punto di partenza, una condizione abilitante per adottare una governance evoluta e adatta alle sfide del nostro tempo”.
Tra gli altri obblighi delle società benefit, oltre alla misurazione e rendicontazione annuale dei propri impatti tramite una relazione di impatto, vi è quello di individuare il soggetto o i soggetti responsabili del perseguimento delle finalità di beneficio comune, e l’obbligo di bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi degli altri stakeholder.
Breve storia delle società benefit
Il concetto di società benefit ha le sue radici nel movimento B Corp, nato negli Stati Uniti all’inizio degli anni 2000. Questo movimento, guidato dal network non profit B Lab, ha spinto per la creazione di un riconoscimento legale che consentisse alle aziende di perseguire obiettivi sociali e ambientali senza sacrificare il profitto.
Le B Corp (Benefit corporation) sono state riconosciute per la prima volta nel Maryland nel 2010. In Italia, come già scritto, le società benefit – che sono una tipologia distinta dalle aziende con certificazione B Corp, rilasciata dall’associazione B Lab – sono state introdotte ufficialmente con legge di stabilità 2016. L’Italia è stato il secondo Paese al mondo a riconoscere le società benefit e ha fatto da apripista in Europa per il riconoscimento di questa forma giuridica, seguita poi da altri Paesi come Francia – dove le società benefit sono state riconosciute nel 2019, anche se in una forma, la Société à Mission, in parte diversa – e Spagna (2022).
Nel mondo, oltre agli Stati Uniti la disciplina delle benefit corporation è riconosciuta in una quarantina di Stati tra cui Colombia (2018), Porto Rico (2018), Ecuador (2019), Canada – British Columbia (2019), Perù (2020), Ruanda (2021), Panama (2022) e San Marino (2023), ma vi sono diversi altri Paesi in cui l’iter per il riconoscimento di questa tipologia di impresa è in corso.
Le società benefit in cifre
Dal 2016 le società benefit hanno visto una rapida crescita in Italia: erano 400 alla fine del 2019 e nei 4 anni successivi sono aumentate di 9 volte, arrivando a superare le 3.600 unità alla fine del 2023.
La fotografia più completa sulle società benefit in Italia è quella contenuta nella già citata Ricerca nazionale, realizzata da un gruppo eterogeneo di esperti che comprende:
- Nativa, prima società benefit europea che da anni accompagna le imprese nel ridisegnare radicalmente i propri modelli in ottica di sostenibilità, in favore di un paradigma economico rigenerativo;
- Intesa Sanpaolo;
- Infocamere;
- Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno” dell’Università di Padova;
- Camera di commercio di Brindisi-Taranto;
- Assobenefit, prima associazione rappresentativa delle Società Benefit in Italia.
Il report, che ha analizzato gli anni 2019-2022, evidenzia il dinamismo delle società benefit, che crescono di più e performano meglio rispetto alle non-benefit per quanto riguarda i parametri convenzionali di performance economica e reddituale.
Nel periodo preso in esame, il fatturato delle società benefit è infatti aumentato del 37%, contro il +18% delle imprese non-benefit. Il margine unitario misurato dall’EBITDA margin è passato dall’8,1% all’8,3% per le non-benefit, mentre è aumentato dall’8,5% al 9% per le società benefit, che possono quindi ridistribuire più valore agli shareholder.
Anche la produttività per addetto è più alta nelle società benefit (62.000 euro nel 2022) rispetto alle aziende che non sono benefit (57.000 euro), consentendo alle società benefit di fare fronte a un costo del lavoro che è maggiore (41.000 per addetto) rispetto alle aziende non-benefit (38.000 euro).
Altri dati contenuti nella ricerca evidenziano che le società benefit investono di più in brevetti, mostrano una internazionalizzazione più spinta e rivelano, come facilmente intuibile, anche una maggiore attenzione alla sostenibilità. Fattori che contribuiscono a rendere le società benefit più resilienti e capaci di generare performance anche su un orizzonte temporale più ampio.
Perché si diventa società benefit: le finalità di beneficio comune
I dati sopra evidenziati mostrano il potenziale economico delle società benefit. Dietro questo nuovo modo di fare imprese c’è, però, molto di più.
La seconda parte della ricerca nazionale si sofferma infatti sull’analisi delle finalità di beneficio comune, cioè gli oltre 18.600 impegni (alla fine del 2023) che le benefit company hanno volontariamente preso nei confronti delle proprie persone e delle comunità, dell’ambiente naturale e di quello imprenditoriale in cui sono inserite.
Si tratta di un cambio di passo importante rispetto al passato e anche rispetto alle esperienze più virtuose del passato. Come riporta la ricerca, l’evoluzione verso il modello benefit “è la versione contemporanea della olivettiana responsabilità sociale d’impresa, con la differenza che le Società Benefit la dichiarano in via anticipata, la cristallizzano negli statuti e la rendono visibile a tutti”.
Il 32,5% delle finalità specifiche di beneficio comune è centrato sul capitale sociale; il 12,2% riguarda direttamente l’ambiente. Il 24,4% delle finalità di beneficio comune riguarda impegni per cambiare il modello di business con l’obiettivo di ridisegnare processi, riprogettare prodotti, ridefinire le catene di fornitura.
Il 17,6% degli impegni riguardano il capitale umano: sono incentrati sullo sviluppo, sulla formazione e sul benessere delle persone, sul rispetto dei diritti e dell’equità, sull’etica. Infine, il 13,4% delle finalità sono centrate nell’area che riguarda le pratiche leadership e governance.
Gli impegni esplicitati negli statuti aziendali e rendicontati in maniera trasparente sono il segnale di come la decisione di diventare società benefit debba essere legata innanzitutto a una precisa visione del primario ruolo delle imprese nello sviluppo sostenibile.
Questa visione deve essere condivisa dal management e da tutti i livelli aziendali, anche perché il passaggio a società benefit comporta un’importante trasformazione a livello di governance.
Il caso Logotel
Tra le tante imprese che hanno compiuto questo importante passaggio evolutivo segnaliamo il caso della Independent design company Logotel. Nata nel 1993, a febbraio 2024 Logotel ha modificato il proprio statuto, diventando una società benefit.
Questo passaggio è stata la naturale evoluzione di un percorso già tracciato nei valori e nel Dna dell’impresa. Logotel è infatti nata attorno alle persone, le proprie e quelle delle imprese clienti, con l’obiettivo di accompagnarle attraverso le trasformazioni e generare impatti positivi per loro e per le comunità in cui operano.
Questa forte visione condivisa ha spinto Logotel a impegnarsi, anche al di là degli obiettivi di business, in quattro direttrici: nei confronti dei propri clienti, delle proprie persone, di enti del terzo settore e della collettività, promuovendo con un ruolo attivo la diffusione della conoscenza (qui il link per approfondire le finalità di beneficio comune di Logotel).
Riflessioni conclusive
Le società benefit rappresentano un’evoluzione significativa del concetto e del ruolo delle imprese nella società. Sono un passo ulteriore rispetto alla Corporate social responsability (CSR) perché, modificando il proprio statuto, queste aziende si impegnano a rispettare determinati obblighi e integrano in maniera strutturale finalità di beneficio comune al proprio oggetto sociale, al di là degli obiettivi puramente economici.
Gli ultimi report disponibili sulle società benefit mostrano, d’altronde, come la scelta di evolversi in questa direzione paghi anche in termini economici: le società benefit mostrano performance migliori rispetto alle imprese tradizionali e una maggiore resilienza di fronte a eventi avversi, tra l’altro sempre più frequenti.
L’incremento costante del numero di società benefit in Italia e dei Paesi che nel mondo stanno introducendo questa tipologia statutaria sono indicatori importanti che dimostrano come la transizione verso un paradigma rigenerativo sia non solo possibile, ma anche auspicabile.
Preservare il nostro pianeta aumentando il benessere di persone, comunità e delle stesse aziende è possibile, e le società benefit ne sono la dimostrazione più evidente.