Il lavoro ibrido (o hybrid working) è una modalità lavorativa che si è affermata sempre di più nel periodo post pandemico, incontrando il favore sia dei lavoratori, sia di molti datori di lavoro. Il vantaggio competitivo promesso dall’hybrid working è la possibilità di combinare la flessibilità dello smart working con i benefici della prossimità garantita dal ritrovarsi in azienda assieme ai colleghi, almeno per alcuni giorni alla settimana.
Sono diversi gli studi che evidenziano i vantaggi dell’hybrid working in termini di produttività dei dipendenti, incremento del loro benessere, e anche aumento della retention delle persone da parte delle organizzazioni.
Tuttavia, le modalità di lavoro ibride hanno frammentato le giornate lavorative e ciò sta avendo conseguenze su alcuni aspetti, come ad esempio la formazione dei dipendenti. Per adattarsi e arrivare a una popolazione aziendale sempre più diffusa, i formati formativi accessibili a distanza sono aumentati, ma faticano a catturare l’attenzione, ormai frammentata in sempre più direzioni. E sembra essere diminuito anche il coinvolgimento delle persone rispetto a percorsi formativi in cui è sempre più difficile confrontarsi e sperimentare.
In questo articolo, dopo un breve punto sullo stato di salute del lavoro ibrido, ci soffermiamo su come riconquistare l’attenzione e il coinvolgimento delle persone attraverso un ripensamento delle dinamiche di learning, analizzando brevemente anche alcune best practice.
Il lavoro ibrido è realtà, nonostante ripensamenti eclatanti
Ha fatto molto scalpore la decisione di Amazon di tornare, a partire dall’inizio del 2025, a una modalità lavorativa in presenza 5 giorni su 5 per tutti i suoi dipendenti. Tuttavia, come ha precisato il responsabile scientifico dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, il professor Mariano Corso, questa decisione non è di per sé “segno di disaffezione verso lo smart working a livello globale”. Anzi, come ha dichiarato Corso in un articolo sul Sole 24 Ore, il numero di smart worker in Italia, oltre 3 milioni e 600 mila, è tornato a crescere nel 2024 sia nelle grandi sia nelle medie aziende.
Il ripensamento di Amazon, più che una marcia indietro tout court sul lavoro ibrido, serve più che altro a evidenziare la “necessità di modelli di lavoro più bilanciati e coerenti con le esigenze delle organizzazioni, spiega Corso.
In sintesi, l’hybrid working non è certo una formula magica che può andare bene per ogni azienda, come ha spiegato Rossella Cappetta, associate dean open programs di Sda Bocconi e professoressa di organizzazione del lavoro, in un articolo pubblicato su Forbes: “Non sempre bisogna scegliere il lavoro agile per generare maggiore valore per i dipendenti. Penso, per esempio, al corporate welfare: l’assistenza sanitaria, gli asili, ma anche la palestra. Ci sono tante leve, ma le aziende devono saperle usare. Questo significa avere responsabili delle risorse umane competenti, che sappiano comprendere i bisogni delle risorse e che sappiano gestire numerosi strumenti tutti insieme, adattandoli ai diversi contesti”.
Hybrid working e learning: adattare la formazione alla frammentazione lavorativa
Nello studio Hybrid working from home improves retention without damaging performance, pubblicato su Nature, il professore di Economia della Stanford University Nicholas Bloom ha evidenziato come il lavoro ibrido all’interno di un’azienda abbia migliorato la soddisfazione sul lavoro e abbia ridotto di un terzo i tassi di abbandono dei dipendenti, migliorando dunque la retention senza avere effetti negativi sulle prestazioni.
I vantaggi di questa modalità lavorativa vanno anche oltre gli aspetti evidenziati da Bloom e si riflettono in una maggiore flessibilità, benessere e autonomia, una migliore attrattività da parte delle aziende e una riduzione dei costi e dell’impatto ambientale.
Cosa stiamo vedendo in Logotel
Ci sono però anche aspetti critici legati al lavoro ibrido, in particolare per quanto riguarda la formazione. In Logotel, Independent design company che sviluppa progetti di change and learning per clienti di diverse industry e dimensioni, abbiamo avviato una riflessione e una sperimentazione su come ricalibrare le esperienze formative per renderle più efficaci e di impatto nella nuova logica ibrida.
Una delle evidenze che derivano dal nostro lavoro quotidiano e dal confronto con i nostri clienti, è che le learning experience risentono sempre di più di due problemi: la difficoltà nel catturare l’attenzione dei learner e la difficoltà nel coinvolgerli in ciò che apprendono.
Ciò è dovuto al modo in cui il lavoro ibrido e la digitalizzazione hanno trasformato le modalità di fruizione dei contenuti formativi. Per raggiungere una popolazione aziendale diffusa in ecosistemi sempre più distribuiti, i formati formativi hanno infatti seguito la strada della standardizzazione, orientandosi sempre più verso formati video e micro-esperienze raggiungibili attraverso piattaforme LMS (learning management system) e Mooc (Massive open online course).
Da un lato, ciò ha aumentato i livelli di accessibilità, dall’altro ha però ridotto i livelli di coinvolgimento delle persone, impattando sull’attenzione e la retention delle informazioni apprese.
Come riconquistare attenzione e coinvolgimento nella formazione ibrida
Come riconquistare dunque l’attenzione e coinvolgimento nelle esperienze formative? Il punto di partenza che stiamo adottando in Logotel è un cambio di prospettiva. Così come le giornate lavorative, anche l’attenzione in realtà è solo più frammentata, con migliaia di task e occasioni che cercano di “rubarla”.
Bisogna dunque progettare una learning narrative che tenga conto di nuove modalità per gestire l’attenzione “rubata”, introduca dinamiche di apprendimento attivo (active learning) e preveda nuovi percorsi narrativi modulari.
I formati innovativi, da soli, non bastano: è sempre più importante creare dei contesti e spazi di fruizione protetti che difendano il tempo delle persone, abilitando la riflessione e rafforzando l’apprendimento: le potremmo definire delle learning bubbles.
Le dinamiche di apprendimento attivo servono per accendere la mente, come mostrato anche dallo studio Active learning: “Hands-on” meets “minds-on” pubblicato su Science. Se all’interno di esperienze di gamification, come quiz e mini-game, vengono integrati elementi imprevedibili e collaborativi – dalle domande ai colleghi alla creazione di scenari alternativi – i livelli di retention delle informazioni aumentano.
Infine, si può pensare a nuovi percorsi narrativi modulari, scomponendo le esperienze formative, anche di micro-learning, in unità di contenuto che le persone possano poi ricomporre a seconda delle proprie esigenze, anche eventualmente saltando quei contenuti che hanno già acquisito con modalità alternative.
Nuovi modelli formativi per migliorare attenzione e coinvolgimento: alcune best practice
Nel panorama del learning non mancano modelli di riferimento e best practice che vanno nella direzione di creare learning narrative coinvolgenti.
Tra i modelli di riferimento, citiamo il DiSSS di Tim Ferriss e l’East model sviluppato dal Behavioural insights team. L’acronimo DiSSS individua le diverse fasi che l’autore statunitense, noto per il suo approccio innovativo alla produttività e all’auto-miglioramento, suggerisce per padroneggiare nuove abilità in modo più efficiente:
- deconstruction, cioè suddividere l’obiettivo di apprendimento nelle sue componenti fondamentali;
- selection, cioè identificare e concentrarsi sugli elementi più importanti che producono i maggiori risultati, applicando il principio di Pareto (80/20) per determinare quel 20% di elementi che possano determinare l’80% dei risultati desiderati;
- sequencing, cioè stabilire l’ordine ottimale in cui apprendere le componenti selezionate, in maniera da progredire in modo logico e strutturato;
- stakes: cioè creare incentivi o conseguenze per mantenere alta la motivazione.
A queste fasi Ferriss aggiunge anche una quarta “S” che sta per Simplify, cioè rendere il processo di apprendimento il più semplice possibile, eliminando il superfluo.
Il secondo modello di riferimento è l’East model sviluppato dal Behavioural insights team, un’organizzazione fondata dal governo britannico nel 2010 con lo scopo di applicare le scienze comportamentali per migliorare le politiche pubbliche e i servizi, influenzando positivamente il comportamento delle persone sulla base dei nudge, cioè le spinte gentili. L’acronimo East sta per easy, attractive, social e timely: alla base di questo framework c’è l’idea di creare spinte gentili, pungoli, che aumentano la comprensione attraverso dinamiche sociali e ricompensando la fruizione.
Per quanto riguarda le best practice, segnaliamo Edcast, Nestor e il progetto Finanza Insieme sviluppato da Logotel per Intesa Sanpaolo.
Edcast è una piattaforma di learning experience che scompone le narrative con modalità di coinvolgimento attive: dalle chat per il supporto diretto, alle guide per gestire task, a indizi per comprendere una sfida, fino a insight per applicare in altri contesti ciò che è stato appreso.
Nestor è una piattaforma che utilizza un approccio behavioural-inspired per mandare nudge personalizzate ai discenti al momento giusto. Domande, quiz, interazioni, diventano così pungoli che, inseriti in un flusso, stimolano le persone e/o i team a proseguire nel loro percorso di apprendimento.
L’ultimo caso è Finanza Insieme, piattaforma ad accesso libero nata con l’obiettivo di generare consapevolezza e allenare comportamenti sui temi finanziari. Lo fa attraverso percorsi modulari basati su un sistema di raccomandazione che parte da un’analisi dei temperamenti di base e dei tratti emotivi delle persone, a libera fruizione o combinabili in base al livello di competenza e ai progressi conseguiti.
Riflessioni conclusive
Nel contesto del lavoro ibrido, le esperienze formative devono essere ridisegnate per mantenere alta l’attenzione e il coinvolgimento dei dipendenti. Non basta utilizzare formati innovativi, ma occorre progettare una learning narrative che lavori su nuove modalità per gestire l’attenzione “rubata”, su dinamiche di apprendimento attivo e sulla modularità dei percorsi narrativi. Per approfondire questi e altri temi sul learning e il change, visitate il nostro sito web o contattateci.